Sorprende e avvilisce che un uomo di altissima statura professionale come Umberto Veronesi si presti, sulla Stampa di oggi, a unire la sua voce a quella di un innumerevole coro di incompetenti (nel senso letterale e non offensivo della parola) che, negli anni, si sono sentiti in dovere di esprimere il loro sentito giudizio sugli sbagli della Scuola italiana e sui modi per correggerli. L’attuale, stucchevole polemica verte su quel 3% di bocciati in più che quest’anno s’è verificato all’Esame conclusivo di Stato. E’ curioso come il 6% totale di respinti (un’infima minoranza) faccia ombra allo stratosferico 94% di “maturati”, inducendo il celebre oncologo a spendere parole forti come “autoritarismo obsoleto”, “sconfitta della scuola”, “cultura nozionistica”. Sarebbe come dire che, per il fatto che un 25% di donne ammalate di tumore al seno non ce la fa, la Sanità sia un fallimento: cosa certo non vera.
Da uomo che conosce profondamente la scuola, come Veronesi giustamente afferma di “conoscere profondamente la Scienza”, non esito ad affermare che l’ottica dalla quale valutare gli esiti dell’Esame va diametralmente ribaltata: quel 94% è, a seconda del punto di vista, un miracolo o un gigantesco falso in atto pubblico, nel senso che, in realtà, tra i nostri diciottenni la quota di impreparazione grave sulle materie di studio è molto più estesa, anche se poi benignamente sanata d’ufficio dalle commissioni. La Scuola dei sogni tratteggiata da Veronesi nel suo intervento sarebbe attuabile solo se si aprisse un cursus studiorum privilegiato e separato, in cui i nostri giovani talenti (circa un 20% del totale) fossero coltivati come le loro capacità meritano, lasciando i ragazzi restanti liberi di baloccarsi con tutte le attività alternative che preferiscono. Ma non capiterà mai, perché l’Italia è un Paese intrinsecamente aristofobico.